Articolo di di Sabina Antonini, direttore della Missione Archeologica Italiana in Yemen, Monumenta Orientalia
e Saverio Bruno Scigliano, restauratore incaricato dal 2003 fino al 2006 dalla Missione Archeologica Italiana in Yemen, Monumenta Orientalia
È di questi giorni la notizia che l’antica città minea di Barâqish ha subito danni ingenti dovuti ai bombardamenti della coalizione a guida saudita. Il magnifico Tempio di Nakrah è stato distrutto, gravi i danni al vicino Tempio di ‘Athtar dhu-Qabd, e squarciato un tratto delle mura.
Barāqish, l’antica Yathill, si trova nel Jawf yemenita, circa 160 km a nord-est della capitale dello Yemen Sanՙa. Dopo la capitale Qarnāw, Yathill fu per importanza la seconda città del Regno mineo dal VII al II sec. a.C.; ma la sua origine è più antica (X-IX sec. a.C.), come testimoniano le fonti sabee e lo spessore dei livelli archeologici. Quando nel 24 a.C. la città fu presa dal generale di Augusto Elio Gallo, il Regno di Ma‘in era già tramontato e i suoi occupanti erano Arabi nomadi. La città, dopo un lungo periodo di abbandono, fu rioccupata alla fine del XII secolo dalla comunità zaidita dell’Imam al-Mansur ibn-Hamza, che vi restò ininterrottamente sino al XVIII secolo.
Le pittoresche mura dell’antica Yathill appaiono all’improvviso a chi entri nella piana desertica del Jawf. Ben conservate, grazie alla loro riutilizzazione in periodo islamico, esse fanno di Barāqish uno dei monumenti-simbolo dello Yemen. L’eccellente stato di conservazione della sua cinta con 56 bastioni – l’altezza media dell’anello di mura si aggirava sui 14 m, come dimostra uno dei bastioni meridionali, ancora miracolosamente conservato sino alla decorazione a dentelli del suo coronamento – e la sua posizione maestosamente isolata nel deserto del Jawf fanno di questa città una delle meraviglie archeologiche non solo dello Yemen ma di tutto il Vicino Oriente. Ai piedi delle sue mura sostavano le migliaia di cammelli delle carovaniere che trasportavano in Siria e in Egitto i preziosi aromi e le spezie caricati nei porti dell’Oceano Indiano. L’unico Regno, infatti, che si occupò più specificamente di fatti commerciali fu quello di Ma‘in. Minei erano i mercanti che, di ritorno dall’Egitto (dove infuriava una battaglia contro i Medi), dedicarono per ringraziamento un torrione delle mura di Barāqish; minei erano alcuni dei più importanti operatori commerciali di Tamnaՙ (capitale del Regno del Qatabân), di Najrân e di Dedân (antiche città in Arabia Saudita); minee erano le più decentrate iscrizioni sudarabiche sinora trovate (in Egitto e a Delo); “mineo” era l’appellativo che i Romani conferivano all’incenso migliore. Barâqish resta per ora l’unico sito di tutto il Jawf, nel quale sia stato possibile procedere con indagini archeologiche intensive e costanti, ricerche che hanno reso possibile avere informazioni dirette ed inedite sui Minei.
All’interno della cinta le sole vestigia minee visibili sono alcuni pilastri monolitici che emergono dalla distesa di rovine islamiche. Due splendidi santuari furono messi in luce dalla Missione archeologica italiana – diretta allora dal Professore Alessandro de Maigret – nella zona meridionale della città: il tempio di Nakrah, scavato nel 1989-1992 e restaurato nel 2003-2004
ed il tempio di ‘Athtar dhu-Qabd, scavato nel 2003-2006
I templi rivelano un’architettura di spiccata originalità e di grande qualità tecnica.
Grazie alla lunga campagna di restauro, la Missione Archeologica Italiana ebbe modo di rimuovere, restaurare e ricollocare nella sua originaria posizione tutto il complesso di pilastri e travi di copertura del tempio di Nakrah. Per ricollocare nella corretta posizione ogni singolo elemento architettonico, fu indispensabile il lavoro preliminare di rilevazione digitale, eseguito da un esperto topografo del CNR, Mario Mascellani. Per risanare le numerose fratture totali e parziali dei pilastri e delle travi e per imperniare i monoliti compromessi, furono impiegate più di venti metri di barre in acciaio inossidabile; quasi cento chili di resina epossidica rinforzata con quarzite fu utilizzata nelle adesioni tra le parti e nella realizzazione di nuove basi livellate per i pilastri. I muri delle celle furono smontati e rimontati a “piombo”, così come le banchette dei cenacoli. Un lungo e complesso lavoro di restauro riguardò anche i due stipiti monolitici dell’entrata principale che in tutta la loro altezza (5 m) si presentavano seriamente danneggiati e fessurati. Tutti i componenti della trabeazione (travi, metope e lastre di copertura) – dopo i debiti lavori di imperniazione e saldatura – furono riassemblati nella loro posizione originale. Il restauro riguardò anche le grandi lastre del pavimento che, essendo gravemente danneggiate o mancanti, richiesero un’intensa opera di consolidamento e integrazione. I restauri furono eseguiti da Saverio Scigliano e Alessandra Paladino.
Il Direttore Generale dell’UNESCO Irina Bokova ha deplorato la recente distruzione del simbolo dell’Arabia Felix e ha ribadito il suo appello a tutte le parti coinvolte nel conflitto ad astenersi di colpire lo straordinario patrimonio culturale dello Yemen per scopi militari
Sabina Antonini – Saverio Bruno Scigliano
Altri links
http://cefas.cnrs.fr/spip.php?rubrique20
http://www.economist.com/blogs/erasmus/2015/09/cultural-religious-heritage-destroyed-yemen-war
Un articolo è in edicola sul numero 367 di Archeo, settembre 2015.