Pubblichiamo l’articolo che Paolo Pastorello, presidente di RSF nonché titolare dell’impresa Capogruppo della Ati Farnese esecutrice dei lavori di restauro della Galleria dei Carracci a Roma, scrive di risposta al lungo articolo firmato dalla giornalista Francesca Pini e pubblicato sul settimanale SETTE del Corriere della Sera, l’11 settembre scorso, nel quale vengono citati funzionari della Soprintendenza, ambasciatori e diplomatici ma non si fa alcuna menzione dei restauratori, coloro che con grande professionalità, esperienza e cultura hanno affrontato il restauro di questo capolavoro.
di Paolo Pastorello, Presidente di RSF Italia
Finalmente, come si può leggere nel lungo e approfondito articolo pubblicato l’11 settembre da Francesca Pini su Sette, l’inserto settimanale del CORRIERE DELLA SERA, intitolato “Così Bacco e Arianna danno nuova luce all’ambasciata francese”, sono terminati i lavori di restauro della Galleria dei Carracci nel Palazzo Farnese, la prestigiosa dimora romana voluta da Paolo III e ora sede dell’Ambasciata di Francia in Italia.
Si è trattato, per me e per i colleghi dell’associazione temporanea di imprese ATI Farnese, vincitrice del bando di gara internazionale, di uno di quei lavori che ogni Restauratore di Beni Culturali può concretamente sperare di realizzare almeno una volta nella vita, per vedere coronato il proprio impegno e le legittime aspirazioni professionali.
Il complesso lavoro di restauro conservativo degli affreschi realizzati da Annibale Carracci dal fratello Agostino e dai suoi illustri collaboratori e degli stucchi di Giacomo da Parma, ha costituito il più importante e gravoso incarico assunto nella mia ormai trentennale vita professionale.
Quello che si è felicemente concluso, con piena soddisfazione di tutti, è un lavoro straordinario, per la sua portata storica, per l’impegno richiesto e per la forza d’animo, la costanza e la competenza al di fuori del comune che è stato necessario mettere in campo per portare a termine un programma interdisciplinare complesso e molto serrato (compresso in 12 mesi e non in 18, come è stato scritto). Il lavoro, oltre all’impegno di grande responsabilità sui ponteggi, comprendeva anche, com’era giusto e inevitabile, il continuo coinvolgimento in riunioni, approfondimenti, visite, battute d’arresto per valutare situazioni di ambito filologico, storico-critico e scientifico connesse con il modus operandi di uno straordinario maestro, Annibale Carracci, tanto geniale quanto ribelle a ogni convenzione e tradizione e, in fin dei conti, poco studiato.
Ma siamo alle solite, perché quello che è successo, anche in questo caso, non è una novità: il team operativo, il gruppo di lavoro interdisciplinare che ha realizzato il restauro della Galleria dei Carracci, composto da Restauratori di Beni Culturali di altissimo livello, con profilo di competenza omogeneo e grandissima esperienza specifica (e, come giustamente richiesto in sede di gara, tutti diplomati nelle Scuole di Alta Formazione) e da un pool tecnico-scientifico altrettanto specializzato e che ha operato costantemente e con abnegazione a fianco dei restauratori, è stato, nell’articolo del CORRIERE DELLA SERA a firma di Francesca Pini, del tutto ignorato!
Le indagini scientifiche preliminari (a cura di Emmebi Diagnostica Artistica e integrate dall’ATI Farnese, grazie al contributo dei laboratori scientifici dell’associato Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale), hanno consentito di giungere alla comprensione reale del monumento, alla definizione della fase progettuale integrativa sul campo e, dunque, allo sviluppo delle metodologie d’intervento per il restauro conservativo dei dipinti murali e degli stucchi. Tale traguardo è stato raggiunto in accordo con la Direzione Operativa (le Restauratrici di Beni Culturali Emanuela Ozino Caligaris, dipinti, e Carla Giovannone, stucchi – ISCR), la Direzione dei Lavori (Soprintendenze) e il Comitato Scientifico. La Progettazione Integrativa sul Campo, da tempo indicata dai restauratori come indispensabile nei lavori di restauro dei beni culturali, e quindi da inserire nella prassi progettuale oltre alle fasi già stabilite di Progetto Preliminare, Progetto Definitivo e Progetto Esecutivo, di fatto viene sempre realizzata (anche se negata e non riconosciuta come parte indispensabile di ogni progetto conservativo), vista la peculiarità di ogni monumento e l’incidenza contestuale dei processi deteriorativi e delle caratteristiche spesso uniche delle tecniche esecutive, da valutare e fronteggiare, quindi, caso per caso nel cantiere e non solo sulla carta.
La qualifica professionale di «Restauratore di Beni Culturali» (acquisita ai sensi dell’articolo 182 del Codice dei Beni Culturali e corrispondente al profilo professionale di cui all’Art. 1 del Decreto Ministeriale 86/2009), è cosi definita: Art 1. “Il restauratore di beni culturali mobili e di superfici decorate di beni architettonici, sottoposti alle disposizioni di tutela del Codice, è il professionista che definisce lo stato di conservazione e mette in atto un complesso di azioni dirette e indirette per limitare i processi di degrado dei materiali costitutivi dei beni e assicurarne la conservazione, salvaguardandone il valore culturale. A tal fine, nel quadro di una programmazione coerente e coordinata della conservazione, il restauratore analizza i dati relativi ai materiali costitutivi, alla tecnica di esecuzione ed allo stato di conservazione dei beni e li interpreta; progetta e dirige, per la parte di competenza, gli interventi; esegue direttamente i trattamenti conservativi e di restauro; dirige e coordina gli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro. Svolge attività di ricerca, sperimentazione e didattica nel campo della conservazione”.
Credo sia tempo che in ambito istituzionale e accademico e nel mondo della divulgazione ci si renda finalmente conto che un’intera categoria di Professionisti, con profilo di competenza al livello dell’attuale formazione di laurea quinquennale a ciclo unico (il diploma delle Scuole di Alta Formazione è di fatto addirittura superiore in termini di punteggio agli standard universitari attuali), al pari degli architetti, degli ingegneri, degli storici dell’arte o degli altri esperti addetti ai lavori di conservazione, non può essere sistematicamente ignorata. Chi scrive sulla stampa nazionale di queste cose dovrebbe sapere che la normativa sulla tutela di un monumento nazionale della levatura della Galleria dei Carracci (per di più nell’elenco del World Heritage Listed Monuments), prevede, secondo il Codice dei Beni Culturali, la presenza dei Restauratori di beni culturali e pertanto, per competenza o semplicemente per buona educazione, dovrebbe sentirsi obbligato a citare chi fattivamente e progettualmente ha operato sul campo e ha contribuito alla conoscenza e alla conservazione secondo gli standard moderni di un monumento insostituibile della storia culturale dell’umanità.
In un momento delicatissimo, in cui un ampio dibattito è in corso sulla definizione degli ambiti di competenza, sui ruoli e la qualifica dei vari attori nel campo della tutela (per meglio normarne la figura professionale, proprio in questi giorni è stata avviata dal MIBACT la procedura di selezione del “Bando pubblico per l’acquisizione della qualifica di restauratore di beni culturali”), una tale superficialità nello scrivere di un progetto di restauro conservativo così importante è inammissibile.
Un intervento, oltretutto, dove l’unico accenno al team operativo è sbagliato, essendo definito già nel titolo “un lavoro tutto al femminile”: un intervento al quale il sottoscritto, nel ruolo di Responsabile del Cantiere ha dedicato, al pari degli altri associati dell’ATI Farnese, un anno e mezzo della propria vita professionale. Tra questi, Giorgio Capriotti, anch’egli evidentemente maschio, non ha certo avuto un ruolo né marginale né inferiore a quello dei responsabili degli altri associati: Michela Cardinali (CCR la Venaria Reale), Daniela Luzi e Clelia Sbardella (Erre Consorzio), Daniela Milani, Luisa Barucci e, per lo STUDIO CRC di Paolo Pastorello, impresa Capogruppo dell’ATI Farnese, Carla Gianturco. La presenza di queste colleghe donne, come delle tante, bravissime collaboratrici e del Capocantiere, Corinna Ranzi, anch’essa femmina, non fanno di questo cantiere un “lavoro tutto al femminile”, ma semplicemente dimostra che, grazie anche allo loro professionalità e alla loro perseveranza e abnegazione, il Restauro Italiano, declinato in tutti i generi possibili, è ancora un’eccellenza nel mondo e che coloro che pensano che sia possibile mettere all’angolo la categoria dei Restauratori di Beni Culturali, fortemente voluta e preparata secondo i più alti livelli formativi e operativi da funzionari dello Stato di altissimo livello culturale e con una grande visione delle Tutela e della Valorizzazione del nostro Patrimonio Culturale, si sbagliano. L’opinione pubblica è ormai matura e consapevole e i restauratori da tempo si sono costituiti in nuove e strutturate Associazioni, con lo scopo di contribuire a migliorare la politica della tutela e per difendere la propria categoria che si cerca si dividere, svilire ed emarginare in tutti i modi. I Restauratori di Beni Culturali hanno ormai una voce, chiara e forte, che lo Stato e la stampa non possono più non ascoltare e che se non sarà ascoltata rischia di diventare un urlo.
Roma, 12 settembre 2015.
Paolo Pastorello