Restauratori Senza Frontiere

DOVE VA IL RESTAURO ITALIANO Discorso di apertura del Presidente Paolo Pastorello alla Giornata di Studio di RSF

Discorso di apertura del Presidente di RSF Paolo Pastorello, alla Giornata di Studio dal titolo DOVE VA IL RESTAURO ITALIANO: PROBLEMI E PROPOSTE, organizzata da RSF Italia il 20 novembre 2015 a Roma presso la Sala Alessandrina dell’Archivio di Stato.


Darò inizio a questa giornata di studio con una appropriazione indebita, la citazione che Gianluigi Colalucci ha posto come epigrafe al suo recente e bellissimo libro autobiografico intitolato “Io e Michelangelo”. La citazione, da “Il Sangue di San Gennaro” di Sàndor Màrai, riguarda proprio Michelangelo, e dice: “Prima o poi giunge il giorno in cui bisogna farlo, l’impossibile…E dipingere il Giudizio universale nella Cappella Sistina, per esempio, …Una cosa impossibile per miliardi di uomini,…Eppure ogni tanto spunta qualcuno che lo realizza l’impossibile….”. Oggi siamo qui per fare qualcosa che per alcuni ha dell’impossibile e che invece, in ossequio a questa bella frase, oggi Restauratori Senza Frontiere propone di tentare.

La convinzione che ciò che appare troppo difficile è, in realtà, possibile solo se lo si vuole fermamente, è alla base della determinazione di Restauratori Senza Frontiere ad aprire un dialogo costruttivo per realizzare qualcosa che può sembrare oggi irrealizzabile. Non siamo qui per fare un altro Giudizio Universale, ovviamente, e neanche per subirlo, ma per tentare l’arduo compito di lavorare insieme, tutti, all’avvio di una nuova politica della tutela e della valorizzazione, realmente fondata su prevenzione, conservazione e manutenzione.

RSF è una Associazione di Utilità Sociale che ha l’ambizione, ma non certo la presunzione, di rappresentare il Restauro Italiano in quanto SISTEMA, di rivitalizzare quel modo organico di intendere il restauro, oggi in larga misura orientato verso la conservazione, con tutte le implicazioni della ricerca e dei valori ad essa sottesi, che ha reso l’Italia un punto di riferimento nel mondo: un’eccellenza universalmente riconosciuta. 

Nel Sistema logico di interconnessioni multidisciplinari, dalla progettazione all’esecuzione, tutte le professionalità del settore del restauro conservativo (tutte quelle che confluiscono e lavorano insieme nella nostra Associazione), devono interagire, sul campo e all’interno delle nostre istituzioni, al fine di mettere in pratica i principi generali che informano i criteri operativi della tutela.

Credo di non sbagliare dicendo che questa passione per i beni culturali accomuni tutti i presenti, portatori sani di una malattia, l’amore per i beni culturali, che da molte parti si cerca di debellare. E’ un arduo compito portare il messaggio di molti che, come me, da questo incontro vorrebbero uscire con nuova energia e la convinzione di procedere nella giusta direzione. Con un po’ di fortuna, e, si sa, la fortuna aiuta gli audaci, riusciremo nel nostro intento.

Assisteremo in questa Giornata di Studio a un dibattito acceso, sentiremo punti di vista contrastanti, probabilmente l’espressione di un diffuso malcontento, sintomo di indiscutibili criticità. L’auspicio di RSF è che oggi si possa fare il punto sulla situazione, fare luce sul Sistema, sulle sue imperfezioni e sulle sue contraddizioni, per capire dove stia andando il Restauro Italiano e per tracciare una nuova strada, che possa essere percorsa da tutti gli attori di questo complesso apparato gestito dal Mibact, da tutti coloro che operano nel settore socio-economico del restauro specialistico e portano contributi intellettuali, normativi, formativi, scientifici, economici e operativi.

Per aprire questa giornata di studio non si può che partire da un assunto indiscutibile: il Restauro Italiano è una eccellenza universalmente riconosciuta.

Questa bella verità, che ci rende orgogliosi di essere italiani e di far parte di un ambito, quello della conservazione e del restauro dei monumenti e delle opere d’arte di uno dei patrimoni più importanti della storia culturale dell’uomo, porta però con se la grave responsabilità di sostenere tale consapevolezza, che implica di trovare il modo di tramandare le conoscenze acquisite in molti decenni di studio e di ricerca, di rispettare e adeguare le leggi che regolamentano i principi costituzionali della tutela e della valorizzazione dei beni culturali. Alla base di tale progetto virtuoso stanno le strutture formative che dovranno garantire che le future generazioni siano portatrici di conoscenze e principi che, nell’applicazione di una specifica e coerente normativa, possano garantire la buona conservazione di ciò che ci è stato oggi affidato.

Siamo qui riuniti, in compagnia di illustri attori del campo normativo, economico, formativo e operativo, per parlare delle prospettive e delle criticità di cui oggi tanto si discute, con l’intento di collaborare per trovare strade precorribili sotto il profilo normativo, sicure sotto l’aspetto della formazione e sostenibili dal punto di vista economico e di sviluppo sociale.

Continuerò, con le mie indebite appropriazioni, riportando un’altra bellissima frase, di un grande rappresentante della nostra cultura storico-artistica, Antonio Paolucci, che afferma: “Storici dell’arte o restauratori lo si è per sempre”. Una visione che condivido, e che mi ha sempre disposto con grande ottimismo nei confronti del restauro e reso fiducioso verso chi lavorava alla realizzazione dei progetti in cui ero coinvolto.

Restauratore, è per sempre! Si può estendere, ovviamente, anche ad altri professionisti della conservazione, ma la comunione d’intenti, il raffronto più calzante con il restauratore di beni culturali è la professione del medico, che pure è per sempre. C’è qualcosa di inespresso nella figura del restauratore, ma sottinteso, una forma mentis che assomiglia molto al Giuramento di Ippocrate, un’etica professionale profonda che informa un modus operandi  sul quale lo Stato, e non solo, sa di poter contare.

Ma, mentre la sanità, forzatamente, costituisce una voce di spesa tra le più ingenti del bilancio dello stato, il restauro e la manutenzione dei nostri monumenti e delle aree archeologiche, delle collezioni museali statali e private e di tutte le opere d’arte distribuite nelle nostre città d’arte e sul territorio nazionale, che pure hanno bisogno di cure urgenti, soffrono di una drammatica e cronica carenza di fondi e di investimenti. Eppure, che la conservazione e il restauro del patrimonio storico-artistico costituiscano un investimento produttivo per le imprese, per l’indotto socio-economico del settore e per il turismo in Italia, era stato saggiamente e chiaramente indicato da Ignazio Visco già nel 2012, nell’intervista al Corriere della Sera dell’8 luglio, sottolineando come i Beni Culturali possano costituire un carta vincente per contribuire allo sviluppo economico del nostro Paese.

Sempre per rimanere nell’ambito del parere della Banca d’Italia, riguardo alle ricadute dell’offerta culturale sul turismo, Enrico Beretta affermava, sempre nel 2012 che: “… uno degli aspetti economicamente più rilevanti del settore culturale consiste nelle sue ricadute su di un indotto vasto, nell’ambito del quale il turismo riveste un ruolo di primario rilievo. A questo proposito, il segmento delle attività culturali che può essere preso in considerazione è limitato al patrimonio storico-artistico (musei, monumenti, aree archeologiche), in ragione della sua unicità e non trasferibilità geografica” (Enrico Beretta e Andrea Migliardi: “Le attività culturali e lo sviluppo economico: un esame a livello territoriale”, in Questioni di Economia e Finanza, ed. Banca d’Italia Eurosistema, Roma, luglio 2012).

Tuttavia, queste voci sembrano essere rimaste inascoltate, a dispetto, oltretutto, della rilevanza che la Costituzione assegna al patrimonio culturale. E’ noto a tutti il valore prioritario dell’interesse pubblico alla tutela del patrimonio culturale, sancito dall’art. 9 della Costituzione.

Per il Patrimonio Culturale, di rilievo primario e costituzionale, si pongono infatti speciali esigenze di tutela, in virtù dell’irripetibilità delle opere di cui il patrimonio stesso è costituito. Si tratta di un rango speciale, diverso e protetto, specificato nei primi articoli del Codice dei Beni Culturali (D. Lgs 42/2004 e s.m.i.), dove è espresso il “riconoscimento dell’importanza dell’attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale da esercitarsi in base alla peculiarità delle diverse tipologie di intervento”. Tali funzioni e le attività di tutela per i BBCC sono conferite al MIBACT e sono soggette a una normativa specifica cui la più generale normativa di recepimento e regolamentazione degli appalti pubblici deve fare riferimento.

Non è ammissibile, contrario a ogni etica della tutela e in opposizione agli assunti appena enunciati che, come normalmente avviene, gli interventi mirati a salvare le testimonianze irripetibili della nostra storia culturale debbano sottostare a regole di massimo risparmio economico e di convenienza, metodi che denotano scarsa considerazione nella formulazione delle leggi e la mancanza della dovuta riflessione e consapevolezza che i tesori custoditi nel nostro paese sono parte di un patrimonio irripetibile che va protetto con ogni mezzo e che appartiene, oltre che al popolo italiano, all’intera umanità. Sembra di affermare una banalità, per le troppe volte ripetuta, che sarebbe ora che la politica si rendesse conto delle vere esigenze dei nostri Beni Culturali, beni la cui tutela è delegata al ministero tradizionalmente più povero fra tutti. Su questo aspetto, trascurato in modo imperdonabile dalla politica e assente da ogni vera programmazione economica, RSF si sta battendo su molti fronti. Vorremmo riuscire a incidere sull’attuale modo di pensare per compartimenti stagni: l’evoluzione dei principi che sottendono i nuovi percorsi formativi per i Restauratori di Beni Culturali, i profili di competenza, l’evoluzione normativa nel nuovo Codice degli Appalti, il recepimento delle Direttive Europee non sono, come dovrebbero essere, vasi comunicanti, parti di un sistema coerente nato da una politica della tutela organica, basata su di una visone precisa del valore e delle possibilità di sviluppo e di ricaduta socio-economica di un comparto, evidentemente importante e trascurato, della nostra fragile economia.

Il nostro Patrimonio Culturale, fra congiunture economiche e riforme istituzionali orientate verso una valorizzazione dai contenuti translucidi, ha bisogno del sostegno di analisi socio-economiche concrete, che servano da bussola verso un traguardo che non sia, come appare, la sua stessa rovina, il sacrifico in nome di altri valori che non siano identificabili con una seria politica della cultura e della tutela.

Non dovrebbe più succedere, per fare un esempio direttamente collegato alla realtà quotidiana del restauro, che il problema principale, che il pensiero più preoccupante per un’impresa super-specializzata nella conservazione del patrimonio storico-artistico, debba essere “come fare a uscire in fretta da un cantiere”, per scongiurare il rischio di fallire, piuttosto che: “sarà dura, ma riusciremo a risolvere i gravi problemi che affliggono questo monumento e le meraviglie a rischio che contiene; metteremo in campo tutte le nostre conoscenze e coinvolgeremo tutte le professionalità scientifiche e tecniche necessarie”. E questo a causa del presupposto che il mercato, date le regole, reagisce sempre nel modo giusto. Nel campo dei beni culturali, i sistemi di controllo sulla qualità degli interventi non sono né adeguati, né sistematicamente applicati, e non consentono una verifica reale dei risultati conservativi degli interventi e il loro impatto a lungo termine sui materiali costitutivi. Appalti acquisiti con ribassi esagerati indotti da metodi di gara mutuati dal mondo dei lavori generali, portano, da una parte, a danni irreparabili e, dall’altra, alla distruzione del tessuto connettivo delle piccole e micro-imprese che, operando ancora secondo i principi dell’etica professionale, soccombono alla logica del massimo ribasso e all’impossibilità di accesso ai grandi appalti, pure sconsigliati dalle direttive comunitarie per il settore dei beni culturali. La cosa più grave è che le migliaia di micro-imprese, dove operano di fatto i veri Restauratori di Beni Culturali, quelle imprese specialistiche la cui attività professionale, tra conoscenze, abilità e competenze corrisponde di fatto al quadro europeo delle qualifiche (EQF 7) (ciò che veramente fa del Restauro Italiano un’eccellenza internazionale), in assenza di una più cosciente e approfondita revisione del quadro normativo, di una nuova e specifica regolamentazione degli appalti, dei contratti relativi ai beni culturali e di una corretta individuazione degli ambiti di competenza, saranno a breve portate alla distruzione certa, come già è avvenuto per migliaia di ditte individuali e di piccole e medie imprese. A farne le spese, in ultima analisi, non saranno soltanto le imprese, ma tutto il sistema della tutela, che vedrà vanificato un immenso lavoro di ricerca e di formazione e la prospettiva agghiacciante di un futuro non solo senza maestranze specificatamente formate e con esperienza, ma senza Maestri.

E dei nostri Maestri dobbiamo parlare. Non dobbiamo dimenticare coloro che sono stati gli eredi di una grande tradizione storica, quelli che si è cercato, e per decenni si è riuscito, a relegare nell’ombra, assegnando loro l’infimo ruolo di mero esecutore artigianale di procedure prestabilite da progettisti e direttori dei lavori di altre discipline, Pensate a un chirurgo, che per operare, dovesse ricevere istruzioni dall’amministratore della clinica o dallo storico dell’arte medica, avendo costoro, in collaborazione, preparato l’intervento. Certo senza clinica e senza un buon amministratore non si opera, e non si opera, tantomeno, inconsapevoli della storia.

Ma proprio pensando alla nostra storia, non si può dimenticare l’evoluzione della figura del restauratore, dai primi del ‘500 fino ai nostri giorni, dei valori intellettuali e di conoscenza tecnico-artistica che hanno tramandato, consentendo di farci pervenire gran parte di un immenso patrimonio in condizioni eccellenti; e non si può non riflettere sulla perdita irreparabile che oggi, nei meandri normativi della formazione e della qualificazione, si rischia di provocare. Tecnica e sensibilità, etica e professionalità, non possono essere separate e relegate negli stretti vicoli delle arti e dei mestieri di una volta, cosa che si rischia di ottenere spacchettando, paradossalmente, una professione strutturata e complessa, fatta di conoscenza ed esperienza, di attitudine e genio, di scienza e arte, in settori della professione che assomigliano a mestieri artigiani, (tradizionalmente frutto dell’addestramento piuttosto che della formazione), indorati da titoli universitari. Perduta da tempo la qualità artistica e creativa del restauratore d’arte della nostra tradizione, avviati verso un figura più moderna di restauratore/conservatore, si rischia il livellamento generale della qualità tecnica e del sapere, la perdita della saggezza della tradizione. Nella spropositata, soprattutto perché improvvisa e non programmata, recettività dei nuovi percorsi formativi quinquennali a ciclo unico, universitari, accademici, di alta formazione e privati, si perde la possibilità della selezione attitudinale, che era prerogativa, non a caso, dell’ICR e dell’OPD. Il fine era quello di esercitare l’indispensabile verifica del talento, della predisposizione che, in questa meravigliosa e difficilissima professione, precede e implica la possibilità stessa dell’affinamento nella pratica, che è indispensabile e non è integrabile con un surplus di conoscenze teoriche. Anni fa, quando il restauro in Italia, era un richiamo fortissimo, affascinante, tanto per gli stranieri quanto per gli italiani, il Concorso per l’ammissione di dieci allievi al corso triennale, poi quadriennale, bandito dall’ICR, concorso che aveva la fama di essere terribile e impossibile, era affollato da centinaia di concorrenti: nel 1978, quando partecipai io stesso, eravamo 1200! Quest’anno, allo stesso concorso bandito dall’ISCR si sono presentati a Roma 87 concorrenti, a Matera 36, per 25 posti e poche decine sono i partecipanti a tutti gli altri concorsi. Quale selezione? Quali qualità attitudinali, quali eccellenze possono essere garantite da un sistema come questo? È come se a Oxford o alla Bocconi si prendesse il primo che passa.

Oltretutto, a questo sistema, che genera la crescita esponenzialmente del numero dei futuri restauratori attraverso la moltiplicazione dell’offerta formativa, cosa che a prima vista appare un metodo più democratico, popolare e positivo, non corrisponde neanche la consolazione di un nuovo e più vasto mercato, come ci si aspetterebbe, frutto di una previdente programmazione socio-economica che dia il giusto riconoscimento a chi intraprende una strada faticosa, quella di chi passa la vita tra lo studio e il cantiere, con un bagaglio di conoscenze non inferiore a quello di altre discipline scientifiche, destinati, nell’attuale contesto a un futuro incerto.

Con riferimento al mercato, è evidente, ormai, che è necessario un nuovo quadro normativo, ancora più specifico, dedicato solo ai beni culturali, che consenta concretamente allo Stato di proteggere adeguatamente i tesori del nostro Patrimonio Culturale, che garantisca che della loro conservazione si occupino i veri professionisti che lo Stato stesso, in passato, ha formato con lungimiranza e competenza. Si è perso qualcosa nel Sistema Restauro Italiano, che è ora di recuperare e adattare alle nuove esigenze della tutela e della valorizzazione dei nostri Beni Culturali.

Sarà dibattuta, in questa Giornata di Studio, la concezione del restauro moderno, come attività professionale complessa, multidisciplinare e interdisciplinare; saranno esaminate le figure degli operatori delle diverse discipline, della loro formazione, delle loro competenze e del ruolo che devono avere nel processo che va dalla diagnosi alla realizzazione, attraverso la progettazione.

La frammentarietà della categoria, indotta dal disordine normativo e dagli interessi emergenti per la gestione della formazione e del mercato, si riflette nella nascita di numerose realtà associative, spesso in contrasto tra loro. Le diverse esigenze professionali e d’impresa secondo la visione delle associazioni di categoria saranno dibattute nella Tavola Rotonda, con occhio attento al mercato, dove, in fin dei conti, si tirano le somme delle politiche corrette o sbagliate, dell’evoluzione normativa, delle previsioni più o meno organiche sullo sviluppo socio-economico.

Torno a dire, per concludere, che il Restauro Italiano va difeso come eccellenza in quanto SISTEMA, nella su capacità dimostrata in passato di essere una filosofia in equilibrio fra teoria e prassi: un sistema logico di connessioni interdisciplinari.

Dalla progettazione all’esecuzione, tutte le professionalità del settore del restauro conservativo (scienziati della conservazione, restauratori, archeologici, architetti, storici dell’arte), dovranno realmente interagire, nel cantiere e all’interno delle nostre istituzioni, al fine di mettere in campo progettualità ed elaborare principi generali che informino correttamente i criteri operativi della tutela per la conservazione dei beni storico-artistici, nostri anziani e fragili pazienti.

Ripensando a Giovanni Urbani, che insieme a Laura e Paolo Mora, furono maestri per me e per molti altri in questa sala, e che fu il primo, e certamente tra i pochi, a dare indicazioni metodologiche concrete per la realizzazione di un sistema complessivo per la conservazione dei beni culturali e a concepire la tutela come un compito attivo, che passasse attraverso la manutenzione programmata attraverso il monitoraggio e la valutazione del rischio sismico, la mia speranza è che oggi, uscendo da questo incontro, noi tutti potremo dire di aver fatto ciò che a qualcuno appare ostinatamente impossibile e che pure, come si diceva in apertura, qualcuno prima o poi doveva fare. Spero che ci saluteremo convinti di aver creato un fronte di consenso per lavorare sul nostro Patrimonio Culturale secondo i principi che saranno enunciati nel Manifesto del Restauro Italiano, che, chi vorrà, potrà ribadire o finalmente fare propri.

Paolo Pastorello 


Foto di copertina: Paolo Pastorello durante i lavori di restauro della Galleria dei Carracci in Palazzo Farnese a Roma – gennaio 2015

Exit mobile version