La data della ripresa delle attività di restauro dei monumenti e delle opere rientranti nel novero dei beni tutelati dallo Stato Italiano, cioè dei cosiddetti Beni Culturali, non è ancora certa. Questo è dovuto a una interpretazione quanto meno curiosa (e preoccupante) delle attività del settore del restauro e della conservazione dei beni culturali, attività, peraltro, delegate a un comparto considerato super-specialistico.
La ripresa delle attività economiche in Italia, come è noto, è indicata nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile 2020, che prevede per il 4 maggio 2020 la data di inizio del graduale ritorno all’attività produttiva e scandisce la sequenza indicata nell’elenco dei cosiddetti codici ATECO: numeri che indicano il campo di appartenenza di una ATtività ECOnomica, inserita in un suo macro-settore, con riferimento, in questo momento, alla categoria di rischio per le caratteristiche ambientali e sociali delle modalità di lavorazione.
Le imprese di restauro di Beni Culturali hanno codice ATECO 90.03.02, codice numerico che le assimila al macro-gruppo R 90: ovvero alle Attività Artistiche, Sportive, di Intrattenimento, di Divertimento e poi Creative, Letterarie. Nulla negando a tali attività, importantissime ed essenziali per la mente e per il corpo, l’attribuzione del nostro codice ATECO, assimilato alle attività di tipo ludico, divertenti, di svago, è, evidentemente, il risultato della progressiva spettacolarizzazione delle attività nei cantieri di restauro, fortemente voluta e diffusa negli ultimi anni, e che si manifesta nella proposizione, sempre più frequente, di gare d’appalto nelle quali, in primo piano, sono posti criteri premianti in relazione alla promessa di divulgazione degli interventi (sistematicamente gratuita e offerta dalle imprese, sempre più gravate da impegni economici insostenibili), da mettere in vetrina, in diretta, dove lo spettacolo del restauro viene associato alla meraviglia, alla scoperta di antichi splendori, di dimenticati capolavori, di sconosciute realtà di decoro di palazzi, di antiche dimore o nascosti siti archeologici. Lo scopo non è, quindi, la conoscenza, l’informazione colta e, se vogliamo, collaterale a quella personale, ma la curiosità, lo stupore, come valore portante di una cultura di bassa lega, appiattita dalla divulgazione di massa, dall’usa-e-getta dello pseudo-apprendimento banalizzato e futile. Quello che si dimentica, facendo del nostro lavoro un’attività legata allo spettacolo e alle attività di svago, è l’importanza della conservazione, presupposto ineliminabile e fine stesso del restauro, disciplina legata alla scienza, alla diagnostica scientifica, fisica, chimica e biologica, alla storia: discipline basilari per consentire a professionisti super-specializzati, di proteggere e rendere duraturi i manufatti unici del nostro Patrimonio Culturale. Va bene la divulgazione, anzi necessaria, inserita in un programma didattico organico e coerente, non lo spettacolo in quanto tale, spesso soltanto strumento di promozione politica. È strano che un paese che ha sentito la necessità (primo al mondo, nel 1974 1) di dotarsi di un Ministero dedicato ai, anzi, “per” i Beni Culturali, perseveri nel non voler rendersi conto che la Conservazione dei Beni Culturali è un campo specialistico, preciso e del tutto originale, per il quale va trovato un ambito normativo specifico, che tuteli non solo i beni ma anche gli operatori, che in Italia, grazie agli istituti creati, ormai molti decenni or sono, per la lungimiranza e l’intelligenza di pochi, sono tra i più preparati professionisti al mondo. È incredibile che a livello istituzionale, chi da almeno 20 anni cerca di inserire a forza il restauro delle opere d’arte e dei monumenti storico-artistici nell’edilizia (parola che deriva dal latino aedifico, cioè costruire), creando problemi quasi insormontabili alle piccolissime imprese che si muovono in questo labirinto normativo, cui non appartengono (il restauro è “conservazione”, di “ciò che esiste”, ovvero l’esatto opposto di “costruzione”, che riguarda “il nuovo che non esisteva”), nel quale se la devono vedere, per sopravvivere, con il mondo delle imprese edili, con gli stessi soggetti che hanno il potere politico di incidere sulla normativa che regola anche le gare di appalto per il restauro di affreschi, di antichi bronzi, anfiteatri o dipinti archeologici, rinascimentali, opere su tavola o su tela, gare cui disinvoltamente partecipano mentre stanno costruendo un ponte o una via fognaria, quegli stessi legislatori, dicevamo, al momento di conferire un codice ATECO alle attività di restauro di beni culturali, non trova di meglio che assegnare all’intero comparto, già schiacciato dall’edilizia, il ruolo, tanto spassoso quanto inappropriato, di operatori del mondo dello spettacolo, di protagonisti del divertimento, negando, di fatto, quel valore scientifico e di protezione della cultura materiale della nostra civiltà, che gli compete. Come si può immaginare che, citando tra mille possibili esempi, mentre si restaurano gli arazzi di Raffaello in Vaticano o i cartoni preparatori di Annibale Carracci per gli affreschi della Galleria Farnese o il Codice Atlantico di Leonardo (fatti di carta e pergamena), il monumento equestre di Marco Aurelio o gli ori di Taranto (collezione di preziosi monili di epoca magno-greca, gioielli tra cui anelli, orecchini, bracciali e corona, conservati nel Museo Archeologico di Taranto), si stia operando in ambito EDILE? E adesso, alla ripresa delle stesse attività siamo passati in ambito ATTIVITA’ ARTISTICHE E DI INTRATTENIMENTO? C’è qualcosa che proprio non va, ed è tempo (da molto tempo, invero), di prendere coscienza e di disporsi all’approfondimento e al cambiamento.
Confinando il restauro e la Conservazione dei Beni Culturali nel mondo dell’intrattenimento, del divertente, del comico, si mette in luce, ancora una volta, una imbarazzante e drammatica, anzi tragicomica concezione della cultura e della tutela nel nostro Paese.
Paolo Pastorello – Presidente di RSF Italia