E’ un momento difficile per tutti noi e una riflessione sul futuro dei beni culturali, è quanto mai opportuna, auspicando che possa suscitare una discussione propositiva, in cui il buon senso prevalga sulle polemiche ideologiche.
La novità della crisi che stiamo attraversando, è rappresentata dal mondo dell’istruzione che è andato avanti on-line, mettendo in luce uno sforzo umano e professionale, rafforzato da spirito di adattamento e solidarietà. Lavorare con strumenti “virtuali” equivale a risparmiare grazie alla tecnologia, così la riduzione delle emissioni di carbone ha fatto esultare gli ambientalisti, mentre il fronte opposto ha messo in risalto che la digitalizzazione farà sparire molti posti di lavoro.
Si parla di tre fasi nella crisi del Covid19; se è chiara la prima, nella quale le attività sono state fermate del tutto e la terza, quella dell’auspicata ripresa, quando sarà debellato il virus, sono meno chiare le modalità della seconda, il famoso momento di transizione, in cui non si lavora perché manca liquidità.
Ma lasciando la definizione di queste ipotesi agli esperti, ad una prima osservazione emerge che la vita sociale cambierà radicalmente. Nei luoghi pubblici ventilazione, pulizia e distanziamento sociale avranno la priorità. Anche i musei, come cinema, stadi e luoghi di convegno saranno riaperti solo quando l’indice di contagio sarà pari allo zero e non è immaginabile che si ritorni alla gara sui più alti numeri di ingresso, perché i turisti stranieri diminuiranno e gli operatori del settore più responsabili prevedono un “turismo di prossimità”, innescato da gite non lontano da casa. I flussi turistici maggiori invece, dovranno essere indirizzati, con notevole sforzo organizzativo, verso una maggiore sostenibilità, senza preclusione ideologica nei confronti della globalizzazione, che come un “male necessario” andrà gestita con maggiore accuratezza.
L’epidemia in corso ha messo in luce la fragilità di alcuni nostri stili di vita e comportamenti che non ci hanno fatto onore in passato.
I centri storici italiani hanno spesso servizi scadenti, mentre la percentuale di comuni a rischio idrogeologico e sismico è molto alta, in tutto il paese. Nelle classifiche internazionali delle buone pratiche e dell’innovazione, occupiamo solitamente le parti inferiori.
Eppure, la tecnologia digitale si è rivelata fondamentale per superare le mille difficoltà quotidiane, in questo periodo di emergenza. Ne siamo stati circondati ed è diventata parte integrante della nostra quotidianità.
E’ quindi arrivato il momento di adeguare agli standard internazionali anche il variegato e complesso arcipelago dei beni culturali. Semplificazione normativa, modernizzazione tecnologica, velocizzazioni autorizzatorie ci si augura che non rimangano vuote parole e che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Turismo non affronti il periodo di ricostruzione, appesantito dalla ipertrofia burocratica che lo affligge. Troppe “scatole”, troppi “istituti ” con nomi pomposi, ne inficiano il buon funzionamento, rendendo oscuro il momento decisionale ed evanescenti i provvedimenti. Certo è che “cambiare pelle” comporta innanzitutto un metamorfosi della forma mentis, che tenga conto delle reali esigenze del settore, delle aree critiche da “bonificare”, avendo presente obiettivi chiari e utilizzando strumenti tecnologici specializzati.
I musei, anche quelli che trascuravano la comunicazione digitale, intanto si sono dati da fare riempiendosi di contenuti. La loro riapertura avverrà con numeri contingentati in ossequio al distanziamento sociale? Sarà ridotta la quantità di mostre prodotte, visto il grande successo delle visualizzazioni on-line e la molteplicità di risorse disponibili in rete? Nel campo della tutela, sarà presa una posizione ferma a fronte dell’insensata proposta di condono edilizio, ventilata dall’opposizione per fare cassa?
Se finora l’innovazione tecnologica e i social media sono stati utilizzati dalle istituzioni, per lo più come strumenti di propaganda e di informazione, trascurando la dematerializzazione dei luoghi fisici, in un futuro è verosimile che la trasmissione, divulgazione e condivisione di contenuti avvenga in tempo reale, in un unico ambiente virtuale, connesso da remoto. Durante la crisi abbiamo sperimentato le nuove modalità partecipative con spazi di lavoro non limitati a un unico contesto (scrivania, ufficio, studio televisivo), ma vissuti a distanza: riunioni, interviste , spettacoli, visite museali, in videoconferenza interagendo nelle piattaforme di Social Networking. Un’esperienza fondamentale per compiere il salto di qualità.
Il mondo dei beni culturali è composto anche da istituzioni e organizzazioni collaterali che formano un settore profondamente colpito dalla crisi, per il quale va chiesta -al più presto- l’estensione degli interventi previsti per tamponare l’emergenza economica. Mi riferisco a quelli a tutela del lavoro precario, congiunti a investimenti indispensabili per il rilancio del settore.
Non posso fare a meno di ricordare come recentemente si siano moltiplicate richieste da parte dei professionisti e degli operatori con interessi nel settore culturale a vari livelli: dall’appello lanciato dagli Assessori alla Cultura delle principali città italiane, alla proposta inviata al governo dall’Alleanza delle Cooperative Comunicazione Turismo Cultura e dall’ Associazione Imprese Culturali e Creative Confindustria , insieme alla raccolta-firme di importanti associazione e società di consulenza e promozione del Terzo Settore tra cui la Scuola di Fundraising di Roma, il FAI , The Round Table, Patrimonio Cultura, Terzo Filo e Mont & Taft, fino all’appello degli enti organizzatori di Parma 2020 che richiedono di proseguire il percorso di Capitale della Cultura nel 2021. Secondo i sottoscrittori del programma, le misure imposte dall’emergenza coronavirus avranno senza alcun dubbio “un effetto importante sulla capacità e sulla modalità dei cittadini di frequentare i luoghi della cultura e di fruire di contenuti culturali. Musei, teatri, concerti, spettacoli, iniziative culturali sono messe a dura prova da questo fenomeno che sta investendo il mondo intero”.
Se l’appello finora non è stato raccolto da alcun economista, non è da stupirsi. Quella del patrimonio culturale pubblico è materia da sempre fonte di dibattito per gli altissimi costi di gestione, associabili ad una garanzia di introiti agli investitori solo a costo di sacrifici durissimi.
Anna Maria Reggiani – Archeologo, membro del Comitato Scientifico di RSF Italia