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QUEL 25 APRILE DI PASSAGGIO A KATHMANDU – di Carla Tomasi

 

Di Carla Tomasi, Vice Presidente di RSF Italia – Roma 07-05 2015

Ogni viaggio è un’avventura ed il fascino della scoperta è caratterizzato da quella parte imponderabile che ci sorprende e che rende quella esperienza unica ed irripetibile.

Questa volta l’imponderabile ha superato ogni limite rendendoci testimoni e partecipi di una catastrofe epocale.
Partiti da Roma il 24 aprile con destinazione Paro in Buthan, era previsto il transito a Katmandu il giorno 25 con una sosta di un giorno per una rapida visita dei luoghi più significativi della città.
Arrivando la mattina presto abbiamo visitato il Tempio Swayambhunath detto “delle scimmie” per raggiungere poi l’albergo verso l’ora del pranzo.
Eravamo da poco entrati nelle stanze quando è iniziata la scossa del terremoto. Negli anni passati in attività di volontariato, nel lontano terremoto del Friuli e poi in Umbria, ad Assisi e più recentemente nella lunga esperienza all’Aquila, è capitato spesso di avvertire le scosse del terremoto. Ogni volta si manifesta un’ansia profonda per la consapevolezza che quanto sta accadendo è qualcosa di incontrollabile e tutta l’attenzione si concentra sulle possibili conseguenze, sulle possibili vie di fuga o quantomeno sulle posizioni più sicure da raggiungere. Questa volta la scossa iniziale ha incrementato la sua forza con una accelerazione che sembrava non finire, ma anzi aumentare in continuazione. Nella fase più acuta di quell’interminabile minuto e mezzo la situazione era totalmente incontrollabile. Il pavimento, le pareti e tutto il contenuto della stanza – mobili suppellettili e persone, – erano scossi paurosamente e non era possibile fare nulla se non sperare ardentemente che la struttura dell’edificio tenesse più di quanto la ragione portava a credere. Per decine di secondi l’unico pensiero è stato “non può resistere, ora viene giù tutto l’edifico”. Ho guardato la finestra e anche i palazzi, i pali della luce, gli alberi, ondeggiavano paurosamente. Quando finalmente l’intensità è iniziata a calare, ed era possibile rimanere in piedi, siamo scesi verso l’uscita, scavalcando vetri in frantumi, suppellettili e mobili rovesciati.
L’edificio aveva tenuto e noi tutti eravamo vivi e illesi. Sulla piazzola antistante l’albergo si era radunata una piccola folla, che tremante e disorientata è rimasta in quel luogo che sembrava relativamente meno pericoloso. Le scosse che sono seguite erano impressionanti; la piazzola presentava una spaccatura dissestata, le fognature si erano lesionate e ne fuoriusciva un pessimo odore, i pali della luce erano inclinati con il pericolo che cadessero, ma non c’era un altro posto dove andare. Eravamo certi che la scossa era stata fortissima, ma solo dopo alcune ore abbiamo saputo che era stata calcolata di 7.9 gradi a Katmandu, mentre nell’epicentro distante un centinaio di chilometri superava di molto l’ottavo grado.

Katmandu è una città che si sviluppa in una grande pianura e conta circa 4 milioni di abitanti. I forti terremoti avvengono con una cadenza di circa 80 – 100 anni negli ultimi secoli; eravamo partecipi del cataclisma del secolo. Abbiamo pensato alla città agli edifici meno resistenti ed alla drammaticità delle conseguenze. Più tardi ci siamo mossi a piedi verso il centro, per costatare i danni. Tutte le persone erano in strada, cercando riparo negli spazi aperti, i primi feriti venivano trasportati con mezzi di fortuna, i militari cercavano di riorganizzarsi nelle caserme semidistrutte. Abbiamo valutato se offrirci per un aiuto, ma appariva chiaro che fuori da una specifica organizzazione era impensabile essere di aiuto.
Dopo una settimana siamo rientrati a Katmandu ed abbiamo potuto constatare la situazione.
La città vecchia, i suoi monumenti e le caratteristiche case d’epoca sono danneggiati o crollati, anche a causa del metodo costruttivo basato su mattoni ed una malta molto povera. Molte strade presentano crolli e fenditure con sollevamenti fino a mezzo metro. Le squadre di soccorso erano attive ma non era possibile capire chi coordinasse gli interventi, nella città le vittime vengono cremate su alte pire di legno presso il sacro Tempio di Pashupatinath gli edifici più danneggiati ritenuti irrecuperabili vengono abbattuti, i civili sono rifugiati in tendopoli che sorgono in tutti gli spazi liberi della città.
Alcune squadre di soccorso erano all’opera sui monumenti più antichi, apparentemente senza un metodo scientifico ma con lo scopo di recuperare le decorazioni ed i materiali costruttivi come i mattoni o gli infissi lignei decorati. Sarebbe necessario in questa fase impostare un metodo di documentazione e recupero, una valutazione delle strutture da mettere in sicurezza per bloccare ulteriori cadute e concordare un sistema di contenimento del danno. La città sta reagendo, mostrando una notevole organizzazione rispetto alla dimensione del dramma e manifesta il desiderio di riprendere un minimo di attività, ma una specifica esperienza potrebbe aiutare a mantenere il più possibile i beni colpiti, che per altro rappresentano fonte di turismo, una delle tre voci chiave dell’ economia del paese, assieme all’agricoltura ed all’artigianato.

Carla Tomasi

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