Di Vittorio Emiliani – da Huffingtonpost.it , 30 luglio 2015
Dei nostri beni culturali, dei centri storici, dei paesaggi si declama, a chiacchiere, il “valore inestimabile”. Poi però si continua a indebolirne la cura, la tutela, il restauro.
Così hanno fatto i governi Berlusconi arrivando a tagliare a metà i fondi, già insufficienti, destinati a questo sterminato patrimonio, impoverendo i quadri tecnici, in media già anziani, negando persino i rimborsi spese (modestissimi) per le missioni su scavi e cantieri. Nessuno era però riuscito ad ottenere quel silenzio/assenso su grandi lavori, edifici, lottizzazioni (se entro poche settimane le Soprintendenze non si esprimevano) che vuol dire tout court assenso visto che ogni tecnico ha una montagna di pratiche delicate da sbrigare per ciascuno dei giorni lavorativi. C’è riuscito il governo Renzi col decreto Sblocca Italia (una copia, in più punti, del vecchio Lunardi) ed ora lo ribadisce col disegno di legge Madia.
Con esso però si va ben oltre: si accorpano confusamente le Soprintendenze alle Prefetture, sottoponendo le prime ai prefetti, ridando cioè vita alle Sottoprefetture di sabauda memoria. Ma come? Se la stessa legge Madia riduce e accorpa le Prefetture medesime, che logica è mai questa? Vuol dire che al ministero per i Beni Culturali rimangono i Musei di eccellenza, presunte “macchine da soldi” (lo disse anni fa Renzi per gli Uffizi ignorando che anche il Louvre e il Metropolitan Museum non “rendono” un cent, ma anzi costano milioni di euro o dollari)? Nel silenzio pressoché generale dell’informazione, Salvatore Settis, Tomaso Montanari, Maria Guermandi, chi scrive hanno lanciato un brevissimo manifesto/appello di protesta in cui si chiede al presidente della Repubblica, tutore dell’articolo 9 della Costituzione di vigilare attentamente in merito, ai presidenti delle Camere di “garantire un’adeguata discussione parlamentare” e al ministro Franceschini “di opporsi con ogni mezzo a tale disegno politico. O questo governo sarà per sempre ricordato come il becchino di una delle più gloriose strutture di civiltà”. L’appello ha raccolto subito vaste e importanti adesioni. Quasi nessun giornale ne ha parlato. Men che meno i telegiornali. Dario Franceschini tace da giorni in altre faccende affaccendato. Accolto su sito di change.org l’appello viaggia dopo pochi giorni sulle 18.000 adesioni. Non importa. Tutti zitti.
È noto che Matteo Renzi considera la parola stessa “Soprintendenza” una delle più fastidiose. In proposito c’è un florilegio di accuse renziane impressionante contro questi organismi i cui poteri “monocratici” sono da lui considerati un’offesa. I controlli tecnico-scientifici, è vero, non prevedono decisioni politiche a maggioranza. Anche quando si tratta di consentire o no al sindaco di Firenze di sforacchiare l’affresco vasariano del Salone dei Cinquecento per cercare lì sotto tracce della Battaglia di Anghiari leonardesca notoriamente perduta. Ma smontare la rete della tutela creata agli inizi del ‘900 da Corrado Ricci, Adolfo Venturi e altri giganti per farne delle Sottoprefetture è una decisione così devastante e cervellotica che una pre-discussione al di là del volto impassibile di Madonna Madia la meriterebbe. O no?
Le Soprintendenze sono lente, burocratiche? Le si finanzi, le si aggiorni, le si potenzi come sarebbe da decenni doveroso e utile ad un Paese aggredito insensatamente dal cemento e dall’asfalto, i cui paesaggi sono una delle attrattive turistiche più potenti. A proposito di velocità, Giovanni Spadolini, fiorentino di città, convinse Aldo Moro a votare per decreto legge, nel dicembre 1974, il ministero per i Beni Culturali e Ambientali ma aveva alle spalle i lavori di due commissioni che avevano operato, specie la prima presieduta da un altro Franceschini, Francesco (Dc) in profondità. Ora il ministero con la riforma di Franceschini Dario è di per sé in pieno caos: i Musei “di eccellenza” devono essere staccati dal contesto territoriale e come possono esserlo quelli archeologici compenetrati con gli scavi che li hanno alimentati?
I tecnici non sanno se appartengono ancora ai poli museali regionali (dove adesso c’è un po’ di tutto) oppure alla Soprintendenza unificata beni architettonici e beni storico-artistici (dove spesso non c’è neppure uno storico dell’arte). E che ne sarà degli archivi, di quelli fotografici per esempio, verranno smembrati fra vari uffici? Sono soltanto alcuni dei mille problemi organizzativi e scientifici. Ma la straordinaria pensata di accorpare tutto quanto nelle Prefetture (ridotte di numero) introduce altro caos in questo caos. Tutto però tace, per ora. Qualcuno fa sapere, irritato, che il termine “becchino” di una delle più gloriose strutture europee, via, è veramente troppo forte. Vogliamo dire allora “necroforo” o magari, alla Totò, “vespillone”? Tanto per non piangere.
Vittorio Emiliani