L’arena al Colosseo? Non è una profanazione ma opportunità di sviluppo
Da L’HUFFINGTONPOST
Di Valentina White – Restauratrice di Beni Culturali e Storica dell’Arte
L’acceso dibattito che la recente affermazione del ministro Franceschini ha sollevato, dichiarando apertamente di apprezzare l’idea suggerita da Daniele Manacorda di restituire al Colosseo la sua arena, induce a ripensare la questione in termini che definirei laici. Il rapporto con i monumenti che ci sono stati consegnati da epoche passate impone sempre un’attenta valutazione critica, e quindi i complessi temi della conservazione, del restauro e della valorizzazione, devono essere affrontati liberi da preconcetti o pregiudizi, determinando di volta in volta l’opportunità o meno di operare delle scelte. E, in questo senso, mi pare che il caso del Colosseo offra spunti di particolare interesse.
A ripercorrere le tante vicende che dalla sua edificazione nel I sec. d.C. hanno determinato l’incredibile storia conservativa del monumento, si coglie un dato a mio avviso essenziale: l’immagine e la materia dell’Anfiteatro Flavio non corrispondono oggi a quelle di un monumento vergine che nei secoli abbia mantenuto inalterata la sua identità, univoca la sua funzione e inviolata la sua presunta integrità così come invece eccezionalmente dovettero apparire i resti di Pompei agli occhi increduli di chi per la prima volta li rivide nel XVIII secolo. Tutt’altro! Lo stato attuale del Colosseo è infatti il risultato di eventi accidentali, scelte adottate nel tempo ed in ultimo realizzate nel Novecento quando, in un’ottica di liberazione da ogni modifica successiva, gli scavi archeologici divennero indispensabile strumento di analisi storica e presupposto necessario allo studio scientifico del monumento. Nei secoli, da straordinario palcoscenico di combattimenti e indiscusso centro di ogni manifestazione pubblica della Roma imperiale, l’Anfiteatro Flavio perde la sua originaria funzione. Utilizzato come castello, ospita un palazzo nobiliare, diventa cava indistinta per l’impiego selvaggio di materiale da costruzione di riuso e poi, dalla metà del ‘700 chiesa consacrata a Cristo e luogo prescelto dal Papa per celebrare la Via Crucis con la costruzione, sull’arena allora calpestabile, delle edicole sacre, visibili nelle incisioni di Piranesi e ancora documentate dalle foto Alinari di fine ottocento.
Oggi il Colosseo rappresenta il monumento simbolo dell’archeologia romana nel mondo ed è meta di un turismo di massa di non facile gestione. A ben guardare il degrado sembra interessare più l’esterno che l’interno del monumento; e ora che si sta finalmente compiendo il restauro delle sue superfici, il persistere di un’indecente realtà tra venditori di improbabili oggetti di pessimo gusto, false guide improvvisate, uomini e donne travestiti da gladiatori e matrone, offre al visitatore un’immagine confusa di squallore e trascuratezza non degna del luogo. Così, paradossalmente, il monumento più caro ai cittadini della Roma imperiale è sostanzialmente sottratto alla fruizione dei romani moderni che, sentendolo ormai ad uso e consumo esclusivi di orde indistinte di turisti spesso poco consapevoli, se possibile lo evitano, sapendo di non poter competere con la disponibilità di tempo di chi aspetta in interminabili file prima di poter completare un frettoloso tour al suo interno.
È allora così azzardato immaginare un diverso futuro per il Colosseo? Siamo certi che l’attuale sistema di fruizione corrisponda alla soluzione più dignitosa che possa essere pensata, pianificata e progettata nel XXI secolo? In questo senso, evitando polemiche sterili basate più sul pregiudizio che sull’evidenza dei fatti, il sano confronto di opinioni dovrebbe a tempo debito riguardare la fattibilità di proposte concrete, messe in atto per la sua valorizzazione in chiave moderna che, nel rispetto della materia e del significato del monumento, mai prescinda dalle ragioni della conservazione. Non credo che riproporre l’arena possa essere considerata una profanazione del monumento ma anzi potrebbe rappresentare un’opportunità di sviluppo e prospettare nuove destinazioni d’uso. L’idea di riproporre percorsi tematici che consentano alla storia di rivivere coniugando alla scientificità dei contenuti la modernità delle tecnologie virtuali (per altro indolori e reversibili!) mi pare non debba essere trascurata anche e soprattutto se si pensa alla qualità dei progetti che in esempi recenti (nelle Domus Romane di Palazzo
Valentini e al Foro di Augusto in occasione delle celebrazioni previste per il bi-millenario), sono stati realizzati proprio a Roma riscuotendo apprezzamenti di studiosi e di pubblico.
Realizzare un museo sotterraneo multimediale, creare spazi espositivi temporanei, prevedere aperture serali e inserire il monumento nella programmazione di selezionati eventi di rilievo internazionale che, solo a titolo di esempio, già riguardano altre arene romane come quella di Verona in Italia e quelle di Nîmes e Arles in Francia, permetterebbe di creare nuove opportunità di occupazione, di incrementare le entrate, e conseguentemente di destinare maggiori risorse alla manutenzione e conservazione del bene e del nostro patrimonio artistico. Saper comunicare anche attraverso mezzi di più facile e immediata diffusione non è necessariamente un modo per banalizzare la storia ma forse rappresenta la chiave per orientare la conoscenza in un’epoca in cui l’arte non è più esclusiva di un’elite ma per fortuna può e deve appartenere a tutti. L’Italia con la sua storia, i suoi mezzi e la sua cultura può proporre nuovi modelli culturali, di qualità e sostanza, senza per questo trasformare il Colosseo in una nuova Las Vegas!
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