LO STRANO CASO DEL COLOSSEO
Rsf Italia desidera porre il giusto rilievo ad un articolo pubblicato recentemente sul sito internet di F.IN.CO. (Federazione Industrie Opere Specialistiche per le Costruzioni), che illustra nel dettaglio lo sconcertante iter tecnico-amministrativo legato al restauro del Colosseo. Questo testo rappresenta solo la premessa ai prossimi futuri approfondimenti che la nostra associazione intende comunicare.
DA NEWSLETTER FINCO N. 08/2014 – www.fincoweb.org
L’Italia è probabilmente il Paese con il patrimonio culturale più vasto; tantissimi i monumenti importanti, capaci di identificarla da ogni parte del mondo. Alla luce di questo, non possiamo che condividere preoccupazioni e ansie che da tempo attanagliano la categoria dei Restauratori italiani, ancora in attesa che si concluda l’iter avviato vent’anni fa per il riconoscimento della loro qualifica.
Il ruolo dei Restauratori nel nostro Paese è, dunque, fondamentale. Lo dimostra il caso del monumento maggiormente identificativo della penisola: il Colosseo. La sua storia è emblematica e mostra come, spesso, gli italiani contribuiscano a farsi del male da soli.
Il bando di gara e l’affidamento dei lavori
Partiamo da un dato assolutamente virtuoso: la disponibilità dell’imprenditore Della Valle a finanziarne la riqualificazione.
E’ giugno del 2010 quando il bando di prequalifica per il restauro del Colosseo, indetto dall’allora Commissario straordinario alla tutela archeologica di Roma, rende evidente che il restauro del monumento, simbolo della romanità, verrà affidato ad imprese edili invece che ad imprese di restauro specializzate.
I numeri parlano chiaro: l’appalto complessivo è di € 8.722.366.97 di cui € 7.613.750,71 nella categoria dell’edilizia monumentale e € 1.108.616,26 in quella del restauro specialistico (la metà per interventi conoscitivi, documentazioni e indagini). A nulla valgono le proteste di chi reclama per l’esclusione delle imprese di restauro ad altissimo profilo di qualificazione e professionalità in un intervento dove non solo la pratica, ma la conoscenza tecnica e scientifica sono imprescindibili. Non sembra interessare che vi è stata una evidente forzatura della norma nel considerare le superfici del Colosseo di competenza “edile” solo perché prive di “decorazioni” (come avvenuto, per altro, anche per il ben più decorato tempio di Antonino e Faustina). Fa specie che questa scelta sia stata fatta proprio dalla Soprintendenza Archeologica di Roma che in passato, sotto la direzione di Adriano La Regina, ha dato, con il Progetto Fori, uno straordinario impulso alla crescita di un‘imprenditoria specializzata, affidando a restauratori l’intervento sulle superfici monumentali, decorate o meno che fossero.
Il bando fa il suo corso senza modifiche e verso la fine del 2011, in esito alla prequalifica, una serie di raggruppamenti di imprese e progettisti, ritenuti idonei al progetto, viene invitata alla procedura ristretta per l’esecuzione dei lavori di restauro del Colosseo.
Trascorre oltre un anno nella valutazione delle venti offerte pervenute e il 27 luglio 2012, poco dopo la fine del Com‐ missariamento, la gara viene aggiudicata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma con il sistema dell’offerta econo‐ micamente più vantaggiosa all’ATI Gherardi‐RECO‐B5srl, dopo aver valutato oltre al costo e ai tempi di realizzazione, il valore tecnico ed estetico delle proposte migliorative e delle integrazioni tecniche e la qualità della proposta inerente la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori.
Il raggruppamento vincitore è l’unico che ottiene il massimo del punteggio (30 su 30) proprio nella qualità della proposta inerente l’esecuzione dei lavori che valutava, tra altri parametri, la modalità ed i tempi di cantierizzazione e la qualità dei tecnici responsabili dell’esecuzione delle lavorazioni. Ottiene un buon punteggio anche per la riduzione dei tempi di esecuzione dei lavori, che nel bando erano pari a 1155 giorni, compresi quelli per la progettazione.
I Ricorsi e l’inizio dei lavori
Sono subito presentati due ricorsi, uno del Codacons che vede nell’affidamento del monumento al gruppo Tod’s senza bando di gara un illegittimo sconfinamento nell’esercizio dei propri poteri da parte del Commissario Delegato (nel febbraio 2013 verrà emanato il decreto ministeriale “Norme tecniche e linee guida applicative delle disposizioni in materia di sponsorizzazione di beni culturali”) e l’altro del concorrente risultato secondo in classifica che contesta la valutazione dei requisiti nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa (strumento che si presta, per la forte discrezionalità, ad opacità ed inevitabili,conseguenti, contestazioni). I ricorsi ritardano l’avvio del cantiere ma finalmente, a settembre 2013, vengono montati i ponteggi ed iniziano i lavori sui primi 5, degli 80 fornici, che scandiscono il prospetto del Colosseo.
Tutto risolto? Non sembra proprio… siamo a luglio 2014 è passato quasi un anno dei tre previsti, nove mesi dal montaggio del ponteggio, e vengono liberate dalle opere provvisionali le prime 5 arcate. Appare ovvio che le altre 75, con questi ritmi, non saranno mai completate nei termini previsti.
Va poi sottolineato che il personale impiegato dalla Gherardi, evidentemente insufficiente per garantire i tempi richiesti dall’appalto, è formato da restauratori, più o meno specializzati, ma comunque restauratori e non edili, essendo evidente che il lavoro su una superficie di pregio deve essere svolto da restauratori, come volevasi dimostrare e come evidente dalle descrizioni del lavoro contenute nel Capitolato.
L’impresa aggiudicatrice è in difficoltà
Ma il peggio deve ancora venire: l’impresa Gherardi in forte difficoltà economica “affitta un ramo d’azienda” e guarda caso, si tratta proprio dell’appalto del Colosseo.
L’annuncio viene dato dalla Soprintendente Dott.ssa Barbera, la quale nel corso della presentazione del restauro dei primi cinque fornici ha dichiarato, con sconcertante semplicità, che la ditta Gherardi ha lasciato il restauro del Colosseo alla società Aspera, «già subentrata, che eseguirà il resto dei lavori». Le esternazioni, riportate dalla stampa, riguardano anche l’Amministratore unico della Aspera, Alex Amirfeiz, il quale spiega che la sua ditta “ha preso in affitto un ramo di azienda dell’impresa Gherardi specializzata nel restauro conservativo. Quindi c’è continuità. Il passaggio è avvenuto il 4 luglio”. La continuità proclamata è una continuità nel perseverare nell’errore iniziale, a meno di non ammettere che della soluzione andrebbero investiti non dei singoli restauratori o collaboratori restauratori, ma una o più imprese OS2 d’esperienza, in grado di programmare il lavoro e svolgerlo con la necessaria attenzione. Peccato che ciò sia impossibile per il divieto di subappalto e l’impossibilità di subappaltare le opere in una categoria diversa da quella in cui è sono state appaltate, oltre che poco percorribile economicamente dato che, detratto il ribasso di Gherardi e l’utile di Aspera, per il lavoro resta ben poco.
Affitto del ramo d’azienda ad altra impresa non specializzata
Ma, anche volendo difendere fino in fondo la scelta di affidare il lavoro di restauro del Colosseo ad un’impresa edile, come sembra voler fare l’Amministrazione occorre sottolineare alcune storture della normativa. L’impresa Aspera, la cui prima certificazione SOA risale al 2011 (rilasciata dalla AxSoa, organismo di attestazione indagato per un presunto giro di false attestazioni), ed oggi attestata con la CQOP (organismo ugualmente finito sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti) non possiede neanche la qualifica prevista dal bando di gara per eseguire i lavori di edilizia monumentale.
Il sistema di prequalifica italiano prevede, infatti, che gli operatori che vogliano eseguire lavori pubblici debbano ottenere da organismi di attestazione privati (ma classificati dal legislatore, per obblighi e responsabilità, esercenti pubblica funzione) il rilascio di un’attestazione in conformità a requisiti di ordine generale e di ordine speciale. Tra questi ultimi, oltre alla capacità economica finanziaria, è valutata la capacità tecnico organizzativa (lavori svolti e idonea direzione tecnica), la dotazione di attrezzature tecniche e l’organico medio annuo. Sembra un sistema rigoroso ed efficace…. ma alcune scorciatoie, eticamente deplorevoli, minano l’impianto alla radice. Basta, infatti, la cessione o l’affitto di ramo d’azienda e si risolve tutto: si acquista come per il Colosseo l’appalto e alla fine di questo l’Aspera otterrà un certificato di esecuzione lavori e sarà pertanto qualifi‐ cata anche nel restauro monumentale (mai eseguito prima) per una categoria di importo ragguardevole…. tanto quanto coloro che da anni svolgono il proprio lavoro investendo sul personale e le attrezzature, partecipando a gare d’appalto via via d’importo superiore. Un’altra mostruosità etica, ancor prima che economica, risiede nella possibilità, per l’impresa affidataria dell’appalto di ottenere la certificazione per i lavori svolti dal subappaltatore (anche non possedendo i requisiti specifici).
Ed infine l’avvalimento….il modo più semplice per ottenere una certificazione: ci si avvale dei requisiti di un altro e alla fine si ottiene il certificato di esecuzione lavori (anche se quest’ultima possibilità solo “infragruppo”).
L’impotenza degli enti di tutela
Ma torniamo al Colosseo, dove dopo tante parole sull’eccellenza italiana, su un nuovo inizio per una collabora‐ zione tra pubblico e privati, vediamo su un monumento senza uguali per notorietà e portata simbolica, riaffiorare il peggio di un sistema che premia la furbata e avvilisce l’impegno e la serietà. Gli enti preposti alla tutela sembrano impotenti o inadeguati di fronte a questa situazione assurda: ma come può succedere, che un’impresa in fallimento (la Gherardi Srl) riesca ad aggiudicarsi, dopo una valutazione, teoricamente accurata, in quanto garantita dal sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa e dai controlli eseguiti, il restauro del Colosseo?
Come si può lasciare il proseguimento dei lavori in mano ad un’altra (la Aspera), che non si è mai occupata di restauro? E’ veramente questa la migliore imprenditoria che l’Italia ha a disposizione? Oppure è il sistema che non funziona?
Se tutto ciò passa in un contesto sotto i riflettori di tutti, come il Colosseo, si può immaginare quello che succede in situazioni meno evidenti all’opinione pubblica.
Forse questa brutta faccenda è l’occasione per ripensare alcuni delicati meccanismi del mondo degli appalti … e possibilmente correggere, prima che sia troppo tardi, la situazione che si profila sul monumento che il mondo intero identifica non solo con il patrimonio della Roma Antica ma dell’umanità intera.
In questo senso Finco ha indirizzato delle precisissime proposte all’Esecutivo.
vai all’articolo http://www.fincoweb.org/files/123962/Newsletter%20Finco%20n.%2008-2014.pdf
Per notizie sulla Aspera (dove troneggia la foto del colosseo): http://aspera.it/
a capo della Aspera c’è l’arch. Alex Amirfeiz nel 2001 (allora ventinovenne) portavoce di Biasotti alla giunta regionale della Liguria (sotto collegamento ad articolo del 2003 che parla della sua ascesa)
http: //ricerca. repubblica. it/repubblica/archivio/repubblica/2003/02/04/la-ruota-delle-fortune-come-gira-il. html
Subentra ovunque, anche nello smaltimento rifiuti…vedi collegamento:
http://www.comune.torino.it/giunta_comune/intracom/htdocs/2013/2013_04283.pdf
Amirfeiz è anche amministratore della Allegra srl
http: //suapgeinternet. comune. genova. it/comunege/Suip/Istanze%20conferenze%20servizi/Istanza%20SU229- 2014. pdf
e della Anchor srl
http://www.gerenteitalia.com/azienda-anchor-genova-36439
La Aspera è azionista di Banca Carige (amica di Berneschi ?)
http://www.gruppocarige.it/gruppo/html/ita/corporate_governance/pdf/assemblee13/2013_04_29_verbale.pdf
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